Scegliere la voce narrante

La voce narrante

Miei cari amici di penna,

dopo esserci soffermati sui punti di vista è giunto il momento di dare spazio alla nostra voce. Scegliere una voce adatta alla storia che si vuole raccontare è fondamentale. Parliamone insieme!

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Esistono due modi di raccontare una storia

Esistono due modi principali di raccontare una storia: attraverso la voce di un “io” narrante, in prima persona singolare; oppure attraverso quello di un narratore, spesso anonimo, in terza persona singolare.

Entrambe le forme narrative presentano vantaggi e svantaggi.

La prima persona singolare dà la sensazione di una storia vera, raccontata direttamente da chi l’ha vissuta. Questa è la forma che si usa in un diario, in un’autobiografia, o in quei generi letterari tra fiction (cioè narrativa) e non-fiction (saggio o resoconto), per applicare una distinzione anglosassone oggi largamente usata. Resoconti di vita e storie realmente accadute costituiscono il regno narrativo “naturale” della prima persona singolare. Non si tratta necessariamente di rappresentazioni esatte della realtà, anzi, esse riflettono la soggettiva interpretazione o visione dell’io narrante.

Scrivere in prima persona comporta una responsabilità particolare, dato che l’autore non può facilmente nascondersi dietro una “maschera”. O, se lo fa, rischia di essere frainteso dal lettore, che istintivamente vede nell’io narrante proprio colui che sta dietro la penna.

I rischi di scrivere un’autobiografia

Utilizzare la prima persona per esporre lo svolgersi della trama è più insidioso di quanto possa sembrare a prima vista. Questa modalità di scrittura dà a pensare che chi scrive riveli un distacco insufficiente tra l’autore e la storia che egli racconta; si ha l’impressione che lo scrittore si sia messo a scrivere non un romanzo bensì un resoconto della propria vita. Di certo può risultare interessante, ma chi legge fa più fatica a tuffarsi nella vita di un altro.

Per fare in modo che l’esperienza personale prenda vita in forma narrativa è necessario un giusto distacco tra l’autore e il suo protagonista; chi scrive deve “vedere” il protagonista dall’esterno e non quando vive ancora l’emozione del momento.

Quando l’io narrante non parla di se stesso

Esiste una figura particolare di narratore: è colui che adotta la tecnica della prima persona singolare, ma ostenta un distacco tale da superare addirittura il risultato che si ottiene normalmente scrivendo in terza persona. Questo avviene quando l’io narrante non parla di se stesso, ma si cala nel ruolo di “terza persona” che riferisce a qualcuno la storia di un altro personaggio.

Quanto più è diverso il narratore dal protagonista, tanto più sarà efficace la sua rappresentazione.

Anche la scelta di questo punto di vista ha un limite: sta nel fatto che il lettore, sin dal principio, è consapevole che del protagonista non potrà mai conoscere più di quanto non sappia l’io narrante; tuttavia, questo fatto crea un effetto di tensione e il desiderio di saperne di più, che accompagna il lettore a mano a mano che il protagonista “diverso” si svela tra le righe. Né il narratore, né il lettore potranno mai conoscerlo “dal di dentro” per cui egli manterrà fino alla fine un certo alone di mistero, essenziale per tenere desta la curiosità.

La terza persona “immersa”

Il procedimento contrario a quello appena descritto si verifica in un racconto descritto in terza persona singolare, dove però protagonista e narratore coincidono esattamente; in altre parole, la voce narrante non è grammaticalmente un “io”, ma è talmente immersa nelle azioni e nei pensieri del protagonista da limitare il punto di vista narrativo a quell’unico personaggio.

Per questo viene definita “terza persona limitata” e anche “immersa”, perché in effetti si tratta di un’immersione totale nel personaggio prescelto, come se la storia fosse raccontata in prima persona. Il limite, naturalmente, è il raggio d’azione del personaggio stesso. Un vantaggio, invece, della terza persona “immersa” è la possibilità di presentare altri personaggi dal punto di vista del protagonista, senza quindi che la responsabilità dei commenti pesi sulle spalle dell’autore.

La terza persona onnisciente

Questa forma narrativa permette di spaziare liberamente da un personaggio all’altro svelandone i più intimi segreti, di cambiare scena a piacimento, di poter dire tutto di tutti senza le costrizioni dell’io narrante e della terza persona immersa.

Un narratore onnisciente, però, non mediato da “filtri” di alcun genere, corre facilmente il rischio di confondere il lettore.

Naturalmente è possibile, anzi a volte conveniente, usare un narratore onnisciente di terza persona quando si vuole far conoscere al lettore più di un personaggio dall’interno. In questo caso la terza persona diventa l’unico strumento narrativo applicabile, perché sarebbe impossibile parlare in prima persona, entrando cioè contemporaneamente nella mente di due o più personaggi. Lo stesso vale, inoltre, quando la trama si snoda su diversi binari, con personaggi che agiscono separatamente e vanno seguiti tutti “personalmente”.

In questi casi, però, è sempre bene operare in blocchi di transizione da un punto di vista all’altro, per esempio facendo corrispondere a ogni cambiamento un capitolo nuovo. Si possono sfruttare brillantemente questi “salti” quando due o più punti di vista rivelano qualcosa di determinante che non si sarebbe potuta conoscere altrimenti.

Consigli per conoscere la vostra voce narrante…

Un buon consiglio, destinato a chi è ancora alle prime esperienze, è senza alcun dubbio il seguente: provate a sperimentare diversi punti di vista sullo stesso soggetto, scrivendo e riscrivendo senza paura di sbagliare e senza aver fretta di finire, finché non riuscite a trovare quello che funziona meglio per voi.

Attraverso tentativi diversi, cercate di individuare la voce narrante che più vi si addice.

Dopo di ché abbiate la costanza di adottarla, esplorarla e conoscerla fino in fondo. Sentendovi sempre liberi di inventare e provare forme diverse.