Strage di Capaci

Strage di Capaci

Sono trascorsi ben trentadue anni da quel terribile 23 maggio 1992, dalla Strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della sua scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Oggi, come allora, giornata di lutto per tutti i cittadini onesti.

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Riflessione iniziale sulla Strage di Capaci

Sono giorni che provo a scrivere qualcosa sulla Strage di Capaci e sono giorni che mi scontro con i miei pensieri e col mio essere siciliana. Una siciliana che, per molti anni, dopo quel fatidico 23 maggio del 1992, ha commemorato, ha fatto memoria, ha ricordato. Eppure in questi giorni ho fatto veramente fatica a rievocare l’evento.

Forse perché ancora grande è la rabbia che mi porto dentro o forse perché, semplicemente, sono letteralmente schifata da queste “giornate della memoria” che non servono a nulla e a nessuno, tranne a quella parte delle istituzioni che, come ogni anno, indossano la loro consueta maschera per mostrare ciò che non sono ma che dovrebbero essere: i garanti della verità e della giustizia.

Una verità e una giustizia che ancora, a distanza di trentadue anni, non c’è e che probabilmente non ci sarà mai perché non c’è la volontà di scoperchiare quel vaso di Pandora che metterebbe in risalto connivenze e collusioni.

Partiamo dalle parole di Fiammetta Borsellino

In un’intervista di un paio d’anni fa, Fiammetta Borsellino, la figlia del fraterno amico di Giovanni Falcone, il giudice Paolo Borsellino, anch’egli ucciso per mano mafiosa il 19 luglio 1992, dichiarò che “il silenzio degli uomini delle istituzioni è peggio dell’omertà dei mafiosi”.

Come non condividere il suo pensiero e come darle torto?

A distanza di trentadue anni lei, come tutti i siciliani onesti, sta ancora aspettando che si faccia luce sulla barbara uccisione del padre.

Arriverà mai quella luce?

Io da cittadina me lo chiedo, come mi chiedo che senso abbia commemorare se poi i fatti, la storia, ci testimoniano altro.

Perché ricordare la Strage di Capaci

Eppure c’è bisogno di ricordare, di “fare memoria” e cosi, eccomi qui a scrivervi di un giudice, di sua moglie e di una scorta che il 23 maggio 1992, in un tratto autostradale della A29 che da Capaci porta a Palermo, saltarono in aria e morirono in nome di un ideale di giustizia che quotidianamente viene calpestato e smentito.

Giorni come questi, come quelli della Strage di Capaci, per la sottoscritta, hanno un peso enorme perché pesanti sono i ricordi, come pesante è la frustrazione, la rabbia e il dolore che, a distanza di più di un trentennio, mi porto ancora dietro.

Rabbia come sinonimo di resilienza e impegno

Purtroppo o per fortuna, oggi come allora, io continuo ad assorbire quella rabbia e quel dolore e sono questi sentimenti che mi inducono a piangere ancora quei morti che hanno letteralmente stravolto il mio essere cittadina siciliana. Una cittadina che da ben trentadue anni ha acquisito la consapevolezza che, in Sicilia, non basta commemorare o celebrare enfaticamente le vittime di mafia.

E’ necessario rimboccarsi le maniche e usare la propria sicilianità come strumento di impegno. Un impegno che deve essere quotidiano, costante e, soprattutto, vigoroso. Perché ci vuole vigore per contrastare le mafie, come ci vuole vigore associato a memoria per non perdere di vista l’obiettivo che il giudice Giovanni Falcone (ma non solo!) si era prefissato: contrastare e sconfiggere la mafia e portare avanti gli ideali e i principi della Giustizia.

La Strage di Capaci ci insegna…

La giustizia è un ideale che tutti noi, da Nord a Sud, dovremmo perseguire perché è bellezza quello strumento che ci insegna ad essere cittadini liberi. Liberi da quelle catene che alcune associazioni criminali e criminose ci vogliono imporre ma che noi, se vogliamo, possiamo e dobbiamo rifiutare con forza e con vigore.

Ed è a questa forza e a questo vigore che io, oggi 23 maggio 2024, a distanza di trentadue anni da quella maledetta deflagrazione, faccio appello per tramutare la mia memoria in impegno…

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